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Cop26: Glasgow climate pact

Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite tenutasi a Glasgow a inizio novembre ha il sapore dell’occasione persa. Solo riduzione graduale del carbone e sostegno ai Paesi in via di sviluppo rinviato, ma qualcosa si muove nella direzione giusta, verso un cambiamento più sostenibile e attento alle necessità del clima.

Una vittoria a metà

L’obiettivo del Patto di Glasgow è quello di trasformare il decennio 2020-2030 in un periodo di azione e sostegno per il clima. Le decisioni prese nel corso del summit puntano a rinforzare la resilienza al climate change e a ridurre le emissioni di gas serra, attraverso finanziamenti necessari e mirati, con uno stanziamento annuale di cento miliardi di dollari per favorire la transizione energetica nei Paesi in via di sviluppo.

Detto delle intenzioni, l’accordo raggiunto, non può però che essere considerato una vittoria a metà e, per certi versi, una sconfitta. Certo, le firme dei 197 Paesi che hanno preso parte alla conferenza al documento finale ci sono e ci si muove nella direzione giusta, ma qualcosa non torna. Stiamo parlando, in particolare degli ambiziosi obiettivi di carbon free e dello stop dei sussidi alle fonti fossili, previsti nella bozza iniziale, ma che nel documento finale hanno subìto un ridimensionamento e una diluizione dei tempi che hanno portato molti a storcere il naso.

I punti controversi

L’iniziale volontà di abbandonare il carbone si è tramutata, infatti, in una riduzione del suo utilizzo che, tra l’altro, interesserà solo il carbone cosiddetto non abbattuto/pareggiato. In pratica, la normativa ammette di utilizzare ancora il carbone, a patto che si pareggi la sua impronta attraverso iniziative di abbattimento delle emissioni. A far discutere è poi la scelta di azzerare i sussidi alle sole fonti fossili inefficienti. Una norma dai confini oggettivamente evanescenti, che rischia di vanificare quanto detto in via preliminare. In questo contesto, la necessità di agire in fretta e con urgenza per contrastare il cambiamento climatico e l’impatto dell’inquinamento ne esce appannata.

Il passaggio da “eliminazione graduale” a “riduzione graduale” crea, inoltre, una zona d’ombra pericolosa nella gestione del carbone. Una mancanza di paletti chiari e certi che rischia di ostacolare le ottime intenzioni iniziali e complicare le operazioni di valutazione e controllo. Quello che è certo, è che, da questo punto di vista, il documento uscito dal Cop26 non accelera come sperato il passaggio verso il necessario e non più rimandabile obiettivo di una società che possa riscoprirsi, finalmente e realmente, carbon free.

Sfogliando l’accordo, inoltre, ci si accorge di come manchino completamente risposte alle richieste dei Paesi che hanno dovuto fare i contri con gli effetti negativi del cambiamento climatico. Assenti, inoltre, indicazioni chiare e precise circa la destinazione dei cento miliardi di euro che dovrebbero essere stanziati ogni anno per sostenere le economie dei Paesi in via di sviluppo nel loro cammino verso la transazione energetica. Lo stanziamento di questi fondi è stato rimandato, ma la mancanza di una piena trasparenza rischia di portare a ulteriori rinvii.

Nella giusta direzione

La conferenza ha comunque portato anche a prese di posizione importanti e migliorative. Questo è vero soprattutto in tema di riscaldamento globale, che si vuole limitare al di sotto degli 1,5 gradi dai livelli preindustriali, migliorando l’obiettivo di due gradi previsto dall’accordo di Parigi. Altro tema caldo è quello delle emissioni di CO2, che dovranno essere ridotte del 45% entro il 2030 e azzerate nel 2050, con il raggiungimento del Net Zero.

Quello che ha frenato le decisioni del summit è la difficoltà nel soddisfare le necessità dei vari Stati coinvolti. Così, una delle più importanti conquiste del Cop26 è la formulazione di un piano di lavoro capace di identificare al meglio e conciliare i bisogni collettivi, partendo dalle peculiarità e dalle urgenze tratteggiate delle singole realtà nazionali per tracciare una via comune. In questo senso, serviranno strumenti di valutazione (Paris Rulebook e l’Enhanced Transparency Framework) capaci di essere oggettivi e in grado di rendere trasparente e chiara la rendicontazione di obiettivi e risultati raggiunti da ogni Paese.

Verrà, poi, finanziata e rinforzata la Santiago Network for Loss and Damage, l’alleanza tra Stati in via di sviluppo e organizzazioni internazionali pensata per promuovere gli interventi per ristorare le perdite e i danni subiti dai Paesi più vulnerabili a causa del cambiamento climatico. Inoltre, l’istituzione dei registri NDCs Nationally Determined Contribution e Adaptation Communications permetterà di indirizzare dati e informazioni al Global Stocktake della Commissione di compensazione delle Nazioni Unite, così da poter controllare oggettivamente i risultati di questi interventi nel lungo periodo.

kore

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