CSR MAGAZINE
12 Gennaio 2023
SFDR: le nuove regole dell’UE in materia di finanza sostenibile
Ormai da quasi due anni, l’Unione Europea ha reso obbligatorio correlare la documentazione relativa a soluzioni di investimento di una sezione dedicata al Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), così da permettere valutazioni più oggettive e complete dei fondi di investimento per la sostenibilità.
Una valutazione standard della sostenibilità
L’SFDR, che possiamo tradurre con Regolamento sulla divulgazione della finanza sostenibile, punta a disciplinare e rendere maggiormente standardizzata (e, quindi, valutabile e misurabile in modo oggettivo) tutta quella serie di documenti prodotti dalle aziende per informare i propri stakeholder circa le iniziative di investimento e finanza sostenibile intraprese per perseguire gli obiettivi ESG.
Grazie al SFDR è possibile confrontare e avere concreta coscienza di che cosa si sta facendo e quali risultati si sono raggiunti in tema di sostenibilità. Una tematica che in passato, proprio per mancanza di standard e regolamentazioni condivise, veniva trattata, perseguita e, soprattutto, esplicitata comunicativamente in modo totalmente indipendente e, dunque, con grandi difficoltà di stima e controllo della reale efficacia degli investimenti e dei fondi.
Un volano per gli investimenti sostenibili
L’introduzione del SFDR ha, inoltre, giocato un ruolo importante, facendo da volano e spingendo gli investimenti sostenibili. Ma non solo. Infatti, la standardizzazione permette di ragionare con maggiore consapevolezza sul lungo periodo e formulare strategie di intervento più efficienti, avendo ben presente i pro, ovviamente, ma anche i contro e le eventuali implicazioni negative.
Entrando nello specifico, l’SFDR impone che tutti i prodotti gestiti da società di investimento con sede in EU debbano essere corredati da informazioni dettagliate su rischi di sostenibilità e impatti negativi degli investimenti sui fattori di sostenibilità.
I tre livelli di sostenibilità
Ovviamente, la normativa prevede obblighi ad hoc in base alle differenti strategie di investimento sostenibile, distinguendo tra fondi che si limitano a valutare e gestire i rischi di sostenibilità (articolo 6), fondi che integrano i criteri ESG (art. 8) e fondi con obiettivi di sostenibilità diretti, in parallelo con quelli finanziari (art. 9).
Analizzando i dati rilevati da Morningstar, nel terzo trimestre del 2022, si è assistito a una crescita del 3% del patrimonio dei fondi classificabili secondo gli articoli 8 e 9, mentre un calo del 7% ha riguardato i fondi all’art. 6. Scendendo nel dettaglio, a settembre del 2022, il 33% circa dei fondi commercializzati in UE rispondeva all’articolo 8, poco più del 4% all’articolo 9, mentre tutti i rimanenti, quindi circa il 63%, non specificando caratteristiche ESG, rientravano nell’articolo 6.
RTS: una nuova stretta per la sostenibilità
Questo trend è, però, destinato a mutare molto velocemente, infatti, da gennaio 2023 è prevista una stretta su determinati standard e molti fondi non potranno più essere ritenuti pienamente sostenibili. In questo modo, il livello di trasparenza per i prodotti finanziari perseguito dall’Unione con l’introduzione dell’SFDR permetterà agli investitori di porre a confronto tra loro i vari fondi e fare valutazioni e scelte maggiormente consapevoli e accorte.
Grazie alle linee comuni di categorizzazione degli investimenti sostenibili previste dagli standard tecnici regolamentari (RTS), da gennaio 2023, la situazione sarà ancora più chiara. I nuovi requisiti richiesti in termini di allocazione dei capitali, comunicazione delle informazioni e metodologie renderanno più complesso soddisfare i requisiti per permettere ai fondi di rientrare negli articoli 8 e 9.
Imprese chiamate al cambiamento
Tra i primi effetti di questo cambiamento e dei regolamenti più stringenti imposti dall’UE per i prossimi anni, si è assistito a una vera e propria presa di coscienza da parte degli investitori, che si sono visti obbligati a declassare i propri fondi e, di fatto, ammettere di non rispettare quanto richiesto dall’articolo 9 e, quindi, dichiararsi meno sostenibili di quanto sostenuto in passato.
Queste trasformazioni permetteranno di stringere ancora di più il cerchio sulle imprese, gli investimenti e i fondi realmente capaci di perseguire risultati concreti di sostenibilità lungo tutta la propria filiera e contrastare pratiche, rilevazioni e comunicazioni poco veritiere, di realtà che, pur dichiarandosi sostenibili, finiscono per indirizzare investimenti in imprese che violano i principi di sostenibilità o si rendono protagoniste di pratiche discutibili. Un passo importante e necessario per dare ulteriore impulso verso un cambiamento che sia reale, condiviso, tangibile, misurabile e valutabile.