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La COP29 e il nuovo obiettivo di finanza per il clima

La COP29, tenutasi a Baku nel 2024, ha raggiunto un accordo sul nuovo obiettivo di finanza per il clima, suscitando reazioni miste tra le delegazioni partecipanti. Dopo due settimane di negoziati intensi, è stato stabilito un nuovo target di 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, una cifra inferiore ai 390 miliardi richiesti dagli esperti dell’ONU come minimo necessario. Inoltre, è stato fissato un secondo obiettivo di 1.300 miliardi di dollari, da mobilitare da tutte le fonti di finanziamento globali.

Una novità storica emersa dalla conferenza riguarda il contributo finanziario dei paesi in via di sviluppo, che, per la prima volta, sono stati chiamati a contribuire alla finanza climatica, se ne hanno la capacità. Questo segna una rottura con la struttura tradizionale delle conferenze sul clima, che finora vedeva solo i paesi sviluppati come responsabili dei finanziamenti. Paesi come la Cina e l’Arabia Saudita, che hanno grandi capacità economiche e sono tra i principali emettitori di gas serra, potrebbero essere coinvolti nei finanziamenti, sebbene la loro partecipazione resti su base volontaria.

Il tema della finanza per il clima è stato il focus principale della COP29, con l’obiettivo di stabilire un nuovo quadro finanziario per il periodo successivo al 2025. L’accordo raggiunto riguarda principalmente la transizione da un obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno, che i paesi sviluppati si erano impegnati a versare ai paesi in via di sviluppo, a una nuova divisione degli obiettivi finanziari. La COP29 ha sancito che 300 miliardi di dollari verranno raccolti dai paesi sviluppati e da alcuni paesi in via di sviluppo, mentre l’obiettivo di 1.300 miliardi verrà mobilitato da tutte le nazioni, tramite una combinazione di sovvenzioni, strumenti finanziari agevolati e misure per evitare l’indebitamento.

Un altro importante cambiamento è l’introduzione di una roadmap “da Baku a Belem”, che stabilisce un piano di azione fino alla COP30 in Brasile nel 2025, focalizzandosi su come raggiungere il target di 1.300 miliardi di dollari. Inoltre, il nuovo accordo prevede una revisione dei risultati raggiunti entro il 2030.

Nonostante il compromesso trovato, la COP29 ha rivelato forti tensioni tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, e l’accordo finale riflette una certa disillusione da parte di molte delegazioni, specialmente per quanto riguarda la debolezza della formulazione che chiede ai paesi sviluppati di contribuire.

In sintesi, l’esito della COP29 ha portato a un cambiamento storico nella governance della finanza climatica, ma i compromessi raggiunti potrebbero non essere sufficienti per affrontare in modo adeguato le sfide globali legate ai cambiamenti climatici, sollevando preoccupazioni per il futuro del pianeta.

Questo accordo sul nuovo obiettivo di finanza per il clima però, è stato ritenuto insufficiente da molte delegazioni, tra cui India, Nigeria e vari paesi africani, che lo hanno definito un “fallimento della giustizia climatica”.

La critica principale riguarda la quantità dei finanziamenti, che non soddisfa le stime degli esperti ONU, i quali indicano che per affrontare la crisi climatica entro il 2035 sarebbero necessari 390 miliardi di dollari all’anno. In particolare, la formulazione del nuovo obiettivo (NCQG) è stata considerata troppo debole e priva di impegni concreti.

Molti rappresentanti dei paesi più vulnerabili, come il Gruppo AOSIS (alleanza dei piccoli stati insulari) e il Gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC), hanno espresso delusione per il risultato, accusando i negoziatori di non aver protetto adeguatamente gli interessi dei più vulnerabili.

Inoltre, la COP29 ha sconvolto il tradizionale sistema di approvazione delle decisioni, che si basa sul consenso. Sebbene l’accordo sia stato approvato con il consenso, molte delegazioni hanno manifestato frustrazione durante la plenaria finale, accusando la presidenza azera di aver forzato l’intesa senza un adeguato dibattito.

Sul fronte della mitigazione e del Global Stocktake, che riguardano rispettivamente la riduzione delle emissioni di gas serra e la valutazione dei progressi globali nel raggiungimento degli obiettivi di Parigi, i risultati sono stati deboli e deludenti. Non sono stati definiti obiettivi chiari né misure concrete per la riduzione delle emissioni, e i progressi degli Stati non sono stati adeguatamente monitorati. Questo ha alimentato ulteriori preoccupazioni, con i delegati che temono che l’accordo non porterà a progressi reali nella lotta ai cambiamenti climatici.

Alla COP29, i negoziati sul Mitigation Work Programme (MWP), dedicato alla mitigazione dei cambiamenti climatici, sono stati particolarmente difficili e segnati da un forte conflitto tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. L’obiettivo principale del programma di mitigazione è ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e, infine, raggiungere l’azzeramento delle emissioni per limitare l’aumento della temperatura globale.

Il negoziato ha visto un scontro tra il Nord e il Sud globale. I paesi industrializzati hanno chiesto maggiori impegni e azioni ambiziose, mentre i paesi in via di sviluppo hanno spinto per un testo meno dettagliato, con impegni deboli e senza cifre concrete. Il risultato è un accordo che, purtroppo, ha eliminato molti degli obiettivi fondamentali previsti da precedenti negoziati, come quelli dell’Accordo di Parigi:

  1. Scomparsa degli obiettivi di temperatura: non sono stati inclusi i limiti di riscaldamento di 1,5°C o 2°C, né il target di emissioni nette zero a lungo termine.
  2. Assenza di impegni concreti di riduzione: non è stato mantenuto l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019.
  3. Mancanza di riferimenti scientifici: il testo non fa alcun riferimento ai rapporti dell’IPCC, che sintetizzano la scienza climatica attuale.
  4. Nessuna transizione dai combustibili fossili: non si fa menzione alla necessità di avviare la transizione lontano dai combustibili fossili, un tema già emerso alla COP28 con il Patto di Dubai.

Il Global Stocktake (GST) è un bilancio quinquennale previsto dall’Accordo di Parigi, che permette di monitorare i progressi globali verso gli obiettivi di riduzione delle emissioni e di allineamento delle azioni climatiche con l’ambizione dell’accordo. Questo processo è fondamentale per valutare se i paesi stanno rispettando i loro Contributi Nazionali Volontari (NDC) e se è necessario modificare le politiche in corso. Tuttavia, anche in questo caso, i risultati ottenuti non sono stati soddisfacenti poiché non hanno condotto a decisioni concrete sui dettagli di come utilizzare i risultati GST per migliorare le azioni climatiche.

Mercati del Carbonio

I mercati del carbonio sono stati un altro punto chiave dei negoziati, poiché mirano a incentivare la riduzione delle emissioni attraverso il commercio di crediti di carbonio, ovvero certificati che rappresentano riduzioni o rimozioni di gas serra. Alla COP29, sono stati raggiunti due accordi importanti relativi agli articoli 6.4 e 6.2 dell’Accordo di Parigi.

  • L’accordo sull’articolo 6.4 stabilisce un mercato globale del carbonio che sarà regolato da standard internazionali per garantire l’integrità e la trasparenza del sistema. Questo accordo intende creare un quadro per il commercio di crediti di carbonio tra paesi, aziende e individui, permettendo di ridurre le emissioni a livello globale;
  • L’accordo sull’articolo 6.2 riguarda lo scambio bi- e multilaterale di crediti di carbonio tra paesi. Questi scambi avvengono tramite i creditti ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes), che sono riduzioni delle emissioni accettate da paesi diversi.

Conclusioni

In sintesi, l’esito dei negoziati sulla mitigazione e sul Global Stocktake alla COP29 è stato molto debole. Gli accordi sul Mitigation Work Programme non hanno raggiunto gli obiettivi necessari per frenare il riscaldamento globale, e i progressi sulla revisione globale dei contributi nazionali sono stati insufficienti. La COP29 ha mostrato la continua difficoltà nel raggiungere compromessi tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, e l’inadeguatezza degli impegni presi solleva seri dubbi sulla capacità della comunità internazionale di affrontare la crisi climatica in modo efficace.

kore

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