CSR MAGAZINE
9 Ottobre 2025
Greenwashing, Greenhushing, Greenwishing: le tre “G” che mettono alla prova la sostenibilità aziendale
Negli ultimi anni la sostenibilità è entrata stabilmente al centro delle strategie aziendali. Non si tratta più soltanto di un tema etico, ma di un driver competitivo, di reputazione e di attrattività verso Stakeholders interni ed esterni. Eppure, proprio la crescente attenzione ha generato anche sfide comunicative: il rischio di cadere in comportamenti che compromettono la credibilità degli impegni ambientali, sociali e di governance (ESG). Tre fenomeni in particolare attirano sempre di più l’attenzione di analisti e regolatori: greenwashing, greenhushing e greenwishing. Comprenderne le differenze è fondamentale per non trasformare la sostenibilità in una trappola reputazionale.
Greenwashing: la trappola della facciata
Il termine è ormai forse quello più noto dei tre: con greenwashing si indica la pratica di presentare i propri prodotti, processi produttivi e attività aziendali come sostenibili senza che a tali affermazioni corrispondano azioni, dati o risultati concreti. Un’azienda può enfatizzare una linea di prodotto “eco-friendly” che in realtà rappresenta una minima parte del proprio portafoglio, oppure comunicare obiettivi climatici privi di un piano concreto e di un fondamento metodologico solido.
Il problema del greenwashing non è soltanto etico. Per le imprese significa esporsi a rischi regolatori, legali e reputazionali.
Negli ultimi anni la Commissione Europea aveva cercato di mettere un freno al fenomeno con la Green Claims Directive, una proposta di direttiva che prevedeva regole severe per vietare dichiarazioni ambientali vaghe, non verificate o prive di prove scientifiche. Tra i punti chiave c’erano la possibilità di sanzioni fino al 4% del fatturato e l’obbligo per le aziende di garantire trasparenza e aggiornamento continuo delle proprie comunicazioni ambientali.
Tuttavia, a giugno 2025 l’UE ha dichiarato di voler fare marcia indietro sulla direttiva, giudicata da alcuni troppo onerosa e complessa per le imprese. Non si esclude l’ipotesi di una nuova proposta semplificata, ma il tema resta centrale: i consumatori sono sempre più attenti e si affidano a piattaforme indipendenti per smascherare pratiche ingannevoli. In questo scenario, il greenwashing non è soltanto una scorciatoia rischiosa, ma un vero e proprio boomerang.
Greenhushing: il silenzio che indebolisce
Se il greenwashing è “parlare troppo”, il greenhushing è l’esatto opposto: non comunicare affatto i propri obiettivi di sostenibilità per paura di essere criticati o accusati di incoerenza. Secondo recenti ricerche, diverse aziende che hanno fissato target climatici ambiziosi hanno scelto di non divulgarli pubblicamente, temendo di non riuscire a rispettarli nei tempi previsti. Questo approccio, tuttavia, genera due effetti collaterali. Da un lato, priva gli investitori e i consumatori di informazioni essenziali per valutare le scelte aziendali. Dall’altro, riduce la pressione positiva che la trasparenza può esercitare sul management. In un contesto in cui la rendicontazione ESG diventa obbligatoria sempre su più fronti e ambiti – basti pensare alla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) in Europa – il silenzio rischia di non essere più un’opzione praticabile.
Greenwishing: ambizioni senza fondamenta
Meno noto ma altrettanto insidioso è il fenomeno del greenwishing. In questo caso le aziende non mentono né tacciono: comunicano con entusiasmo i propri impegni, ma senza dotarsi di piani e risorse concrete per raggiungerli. Si tratta di un ottimismo privo di basi realistiche, che può trasformarsi in delusione e perdita di credibilità.
Un esempio tipico è quello delle dichiarazioni di “net zero entro il 2050” diffuse da molte multinazionali, spesso senza dettagli su roadmap, investimenti necessari o strumenti di monitoraggio. È un po’ come promettere di scalare una montagna senza avere l’attrezzatura: l’intenzione è lodevole, ma la mancanza di preparazione mette a rischio l’intera spedizione.
Per una comunicazione sostenibile e credibile
Greenwashing, greenhushing e greenwishing hanno un impatto comune: compromettono il rapporto di fiducia con le parti interessate. Per evitarlo servono obiettivi realistici, trasparenza anche sulle difficoltà, investimenti coerenti e verifiche indipendenti. In questo percorso il supporto di professionisti della consulenza ESG è fondamentale per trasformare gli impegni in azioni concrete e comunicazioni credibili, a prova di mercato e di Stakeholder.
9 Ottobre 2025
Greenwashing, Greenhushing, Greenwishing: le tre “G” che mettono alla prova la sostenibilità aziendale
Leggi l'articolo18 Settembre 2025