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Dalla percezione all’azione: come le aziende percepiscono e investono per combattere il cambiamento climatico?

Nella lotta al cambiamento climatico, le aziende sono – ormai, necessariamente – chiamate a giocare un ruolo di prim’ordine. Il peso della realtà imprenditoriale gioca un ruolo sempre più centrale, in un contesto economico, ambientale e sociale come quello odierno. Di questa crescente responsabilità, che muove certamente dal piano economico, ma abbraccia anche quello sociale e ambientale, le aziende non possono sentirsi esentate.

Le responsabilità delle imprese

Chi fa impresa oggi è chiamato, volente o nolente, a incarnare coscienziosamente determinati valori e a muoversi tenendo ben presente la propria capacità di intraprendere, indirizzare e guidare il cambiamento. E questo deve trovare riscontro tanto nei processi produttivi, quando nei prodotti o nei servizi offerti, coinvolgendo la società a cui ci si rivolge con il proprio operato. Tanto a livello globale, quanto nei contesti più piccoli. Tanto nel breve, quanto nel lungo periodo.

Secondo il rapporto 2020 dell’EIBIS, le imprese che investono maggiormente in misure per contrastare l’impatto climatico sono quelle europee (45%), le statunitensi si fermano invece al 32%. Tra le misure più adottate c’è l’efficienza energetica, scelta dal 47% delle imprese dell’Unione Europea e cresciuta di ben dieci punti percentuali in un solo anno.

Rischi fisici diretti e rischi di transizione

Il cambiamento climatico pone le imprese davanti a due tipi di rischio. Da un lato si trovano i cosiddetti rischi fisici diretti, dall’altro i rischi di transizione. I primi sono più facili da osservare e comprendere, si tratta infatti di problematiche causate da eventi meteorologici straordinari. I rischi di transizione sono, invece, meno evidenti, poiché dipendono dagli impegni presi a livello globale per ridurre la dipendenza dell’economia dallo sfruttamento dei combustibili fossili.

Molte imprese ignorano i rischi di transizione. Il motivo è da ricercare nella difficoltà oggettiva di percepire la minaccia per la propria attività. La transizione influisce infatti sulla domanda di prodotti e servizi, sulla supply chain e sulla reputazione. E, ovviamente, senza un’accorta valutazione, questa influenza non può che essere negativa, per l’azienda e per l’ambiente. Di contro, le imprese consapevoli dei rischi che la transizione comporta per le loro attività commerciali hanno maggiori probabilità di investire in misure climatiche.

In Italia, la quota di imprese che percepisce i rischi fisici è superiore alla media UE, mentre è inferiore per i rischi di transizione. Gran parte delle aziende italiane che riconoscono i rischi di transizione pensano che questi avranno un impatto positivo su domanda, supply chain e reputazione. La quota di imprese che investe per affrontare i rischi climatici è però inferiore alla media UE, nonostante siano di più le imprese che si dicono pronte a investire sul futuro. Le aziende italiane segnalano inoltre più ostacoli agli investimenti per il clima rispetto alla media europea, con le incertezze su tassazione e regolamentazione a rappresentare il freno maggiore.

Ridurre l’incertezza per spingere verso il futuro

A livello globale, a frenare gli investimenti per il clima, infatti, c’è senza dubbio la poca chiarezza in termini di regolamentazione e tassazione. In questo senso, una spinta fondamentale verso un’economia sostenibile potrebbe arrivare dall’adozione di una strategia globale con un quadro normativo chiaro, politiche climatiche forti e investimenti pubblici e privati ​​proattivi. Servirebbe, insomma, il giusto contesto per dare il via a un circolo virtuoso in cui pubblico e privato lavorino insieme per rendere più green e sostenibile l’economia.

La spinta deve dunque arrivare dalla politica nazionale e comunitaria che, anche attraverso sanzioni e norme più severe sulle emissioni, favorisca il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi. Lavorare con le aziende per far comprendere loro che i rischi fisici e di transizione rappresentano una vera minaccia per la loro economia e per le loro possibilità future deve assumere un ruolo centrale nel dibattitto sui cambiamenti climatici.

Le istituzioni devono lavorare per ridurre al minimo l’incertezza sulle regolamentazioni. Questo permetterebbe alle aziende di tratteggiare con maggiore concretezza un quadro completo dei benefici attesi da un investimento sul clima. Anche perché, gli elevati costi iniziali richiesti per intraprendere questo tipo di attività spaventano, nonostante i loro rendimenti a lungo termine.

Collaborazione e responsabilità condivise

Un’ottima chiave di volta per provare a dare una svolta a una situazione che assume sempre più le sembianze di uno stallo sarebbe quella di far comprendere alle aziende come oggi si trovino indistintamente, e per ovvie ragioni, davanti a due opzioni: possono pianificare fin da subito e garantirsi un vantaggio competitivo sul mercato, oppure possono attendere e rischiare di perdere terreno rispetto ai concorrenti più lungimiranti.

Insomma, c’è bisogno dell’apporto di tutti i soggetti coinvolti. Le imprese devono comprendere meglio le conseguenze della transizione e i responsabili politici devono fornire maggiore supporto. Perché, affrontare il cambiamento climatico richiede il coordinamento tra privato e pubblico. Il tutto, ovviamente, sorretto dalla spinta dell’Unione e dal sostegno economico di iniziative come il Recovery Fund, che potrebbe rivelarsi un formidabile alleato nel processo di transizione verso un’economia sempre più sostenibile, consapevole e green.

kore

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