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CdA aziendali sotto pressione: la retribuzione dei vertici sempre più legata agli obiettivi di sostenibilità

La direzione strategica di un’azienda è, prima di tutto, definita dai suoi vertici: leader e top management. Questo è tanto più vero quando si parla di sostenibilità. In molti contesti, infatti, la sostenibilità viene ancora interpretata come un elemento accessorio, spesso relegato alla comunicazione o al marketing, anziché essere considerata una dimensione strutturale del modello di creazione del valore, compromettendone così l’efficacia sistemica e ostacolandone la piena integrazione nei processi decisionali e nella governance aziendale, quando invece avrebbe bisogno di esempi forti e credibili per essere realmente integrata nel business.

Nell’Unione Europea, le imprese si trovano oggi sempre più vincolate da normative che spingono verso un approccio sostenibile al fare impresa, si pensi agli standard CSRD e VSME. Ma il passo ulteriore che molte aziende stanno compiendo per rendere la sostenibilità una leva strategica concreta consiste nel legare la remunerazione dei manager agli obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance).

Non si tratta di una novità assoluta: questa tendenza è ormai consolidata in Europa e si sta rapidamente diffondendo anche oltre i confini del Vecchio Continente. Lo dimostra il recente report di KPMG, una delle principali reti globali di consulenza e servizi professionali, “Incentivizing long-term value creation: Linking sustainability metrics to board members’ pay”. Lo studio ha coinvolto 375 grandi aziende in 15 Paesi su 4 continenti, analizzando le imprese nella top 25 per ciascuna nazione.

Quali sono i principali dati emersi dal report di KPMG?

  • Il 78% delle aziende analizzate ha già integrato obiettivi di sostenibilità nei meccanismi retributivi del top management.
  • Tra le 277 aziende che hanno dettagliato gli indicatori utilizzati, l’88% ha dichiarato di allinearli ai temi ESG ritenuti più rilevanti per il proprio settore.

Tra gli obiettivi ESG più utilizzati:

  • Ambientali (E): riduzione delle emissioni di gas serra (GHG);
  • Sociali (S): engagement dei dipendenti e percentuale di donne in ruoli manageriali;
  • Governance (G): sicurezza informatica e protezione dei dati (cybersecurity).

Non tutte le aziende, però, adottano lo stesso approccio:

  • il 23% include gli obiettivi ESG solo negli incentivi a lungo termine;
  • il 40% li integra esclusivamente nei bonus a breve termine;
  • il restante 37% li applica in entrambi gli orizzonti temporali.

In quest’ultimo gruppo spicca l’Italia, che si distingue con 20 aziende su 25 che legano la retribuzione dei propri vertici agli obiettivi ESG sia nel breve che nel lungo termine. Complessivamente, il nostro Paese si posiziona al quarto posto su 15, con 23 aziende delle top 25 che hanno già adottato questa strategia.

Davanti a noi: Francia, Germania e Regno Unito. L’Europa guida quindi la classifica, complice anche la spinta regolatoria del Green Deal europeo. Degno di nota il posizionamento dell’Australia, che si colloca al quarto posto, a pari merito con l’Italia, prima tra le nazioni extra-europee. Giappone e Cina confermano una diffusione crescente della pratica. In fondo alla classifica, invece, si trovano gli Stati Uniti, con appena 11 aziende su 25 che hanno adottato questa correlazione: un dato che riflette il clima politico interno, dove la leadership repubblicana tende a mettere in discussione l’importanza delle tematiche di responsabilità sociale e ambientale.

kore

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