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Al via la COP30: tra diplomazia e realtà climatica, il bilancio della prima settimana a Belém

10 novembre 2025, ore 10, Belém: si apre ufficialmente la 30ª Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel cuore pulsante dell’Amazzonia, territorio-simbolo della crisi climatica e della sua possibile soluzione. Un contesto che parla da sé: foreste che custodiscono il 10% della biodiversità mondiale, comunità indigene che da decenni chiedono ascolto, e un Paese, il Brasile, che oggi sceglie di ospitare il summit globale più complesso e politicamente carico degli ultimi anni. La sensazione diffusa, fin dalla plenaria inaugurale, è che questa non sia una COP come le altre. “È la COP della verità”, come l’ha definita Luiz Inácio Lula da Silva, ricordando che 10 anni sono passati dagli Accordi di Parigi.

Un’apertura che detta il tono

La cerimonia inaugurale sancisce il passaggio di consegne dalla presidenza azera della COP29 ad André Corrêa do Lago, diplomatico brasiliano con lunga esperienza nei negoziati climatici.
Nel suo discorso d’apertura, il Segretario Esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell invita i delegati a evitare giochi di potere e a concentrarsi sull’unico avversario che conta: la crisi climatica. Una crisi che, come ricordano le analisi tecniche diffuse nelle stesse ore, procede a una velocità decisamente superiore rispetto alla capacità dei governi di contenerla. Le proiezioni aggiornate indicano infatti che al 2035 le emissioni globali saranno ridotte solo del 10% rispetto ai livelli del 2019, contro il 60% necessario per mantenere viva la traiettoria degli 1,5°C. È un segnale drammatico della distanza tra ambizione e realtà.

11-16 novembre: cosa è successo?

Il giorno successivo (11 novembre) porta con sé uno dei dati più discussi di questa fase iniziale: l’aggiornamento del rapporto di sintesi sugli NDCs (Nationally Determined Contributions), gli impegni climatici dei singoli Paesi. L’UNFCCC registra una tendenza al ribasso più marcata del previsto grazie alle comunicazioni presentate nelle ultime settimane da Unione Europea, Cina e diverse economie emergenti. Il nuovo scenario indica una possibile riduzione globale del 12% entro il 2035, una notizia moderatamente positiva, ma ancora lontana dagli standard previsti dall’Accordo di Parigi. È un segnale che apre spiragli di ottimismo, pur ricordando quanto la curva delle emissioni resti troppo alta e troppo lenta.

Il contesto amazzonico riporta la tensione sul terreno quando, il 12 novembre, le comunità indigene organizzano la prima grande manifestazione interna alla COP30. Con slogan come “La nostra terra non è in vendita”, chiedono maggiore protezione dei territori e un ruolo più incisivo nei processi decisionali.

Nel frattempo, tra il 12 e il 14 novembre, la finanza climatica si conferma il nodo politico più complesso. Molti Paesi in via di sviluppo chiedono di rafforzare la discussione sull’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, che richiede ai Paesi sviluppati di fornire sostegno finanziario, e sollecitano una roadmap chiara per il nuovo obiettivo globale di finanziamento ($1.300 miliardi all’anno per la lotta al cambiamento climatico).

Tra il 12 e il 15 novembre rimane aperto anche il dossier dell’adattamento: il confronto sul pacchetto di indicatori del Global Goal on Adaptation mette in luce differenze significative tra i Paesi. Alcuni spingono per adottare subito l’elenco attuale, altri chiedono di rafforzare gli aspetti legati a finanziamento, tecnologie e capacità operative. Il rischio di rinviare la decisione alla settimana successiva resta concreto.

Sul fronte energetico, il 13 novembre arrivano misure e dati che mostrano il doppio volto della transizione. Le rinnovabili segnano un nuovo record di crescita per il 23° anno consecutivo, ma allo stesso tempo petrolio, gas e carbone raggiungono livelli record di consumo.

Al centro di questo scenario prende rilievo il Belém 4X Pledge on Sustainable Fuels, firmato da Brasile, Italia, India e Giappone, che mira a quadruplicare entro il 2035 la produzione e l’uso di carburanti sostenibili, considerati fondamentali per i settori difficili da elettrificare come aviazione e trasporti pesanti.

Il 14 novembre un nuovo rapporto — il Global Carbon Budget 2025 — avverte che il bilancio di carbonio compatibile con 1,5°C è ormai quasi esaurito, mentre le emissioni da combustibili fossili cresceranno dell’1,1% nel prossimo anno. È un dato che aumenta esponenzialmente la pressione sui negoziati per definire una strategia più chiara ed efficace per l’eliminazione delle fonti di energia non rinnovabili, tema su cui restano divisioni molto profonde.

Il weekend parte con una protesta: il 15 novembre migliaia di persone scendono in strada a Belém in una delle manifestazioni più partecipate della COP30. Attivisti, giovani, comunità indigene e movimenti per la giustizia climatica chiedono un impegno più deciso per eliminare i combustibili fossili, proteggere l’Amazzonia e aumentare il sostegno ai Paesi più vulnerabili. Un’ondata di voci che amplifica la pressione esterna sui negoziati.

Il 16 novembre, mentre la prima settimana si chiude, i delegati entrano nella fase di consolidamento: testi negoziali frammentati devono essere trasformati in bozze più coerenti per la settimana decisiva che inizia il giorno successivo. Pur senza annunci dirompenti, emerge una consapevolezza condivisa: la COP30 si sta muovendo, ma non ancora alla velocità necessaria. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se la conferenza riuscirà davvero a colmare il divario tra ambizione e realtà.

Stefano Piovani

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