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Agenda 2030: il tempo stringe e i progressi non bastano

Sono passati dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030 da parte delle Nazioni Unite. Dieci anni in cui il mondo ha compiuto passi avanti importanti ma anche registrato rallentamenti e battute d’arresto. Ora siamo entrati negli ultimi cinque anni utili per raggiungere i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e il bilancio non è incoraggiante.

Secondo i dati diffusi dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), soltanto il 18% degli Obiettivi è attualmente in linea con le previsioni. Quasi la metà procede a un ritmo insufficiente e oltre un terzo risulta fermo o addirittura in regressione. Le cause sono molteplici: la pandemia, i conflitti armati — dall’Ucraina alla Palestina — le crescenti tensioni geopolitiche e soprattutto le emergenze climatiche, che incidono in modo trasversale su tutti i settori.

Progressi e contraddizioni

Il quadro non è sicuramente del tutto negativo. Negli ultimi anni il 95% della popolazione mondiale ha avuto accesso alla banda larga mobile (favorendo la crescita e l’innovazione in imprese e infrastrutture, SDG 9), le energie rinnovabili (SDG 7) sono cresciute a un ritmo medio dell’8,1% annuo e l’ampliamento dei programmi di prevenzione e cura ha permesso di salvare oltre 20 milioni di vite legate all’HIV/AIDS (SDG 3) negli ultimi tre decenni. Sono risultati significativi, che dimostrano come politiche mirate e investimenti concreti possano generare impatti positivi.

Allo stesso tempo, però, aumentano disuguaglianze, conflitti e crisi ambientali. Fame zero (SDG 2), istruzione di qualità (SDG 4), lavoro dignitoso e crescita economica (SDG 8) e consumo e produzione responsabili (SDG 12) restano tra gli obiettivi più critici, come conferma anche un’analisi del CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale). A destare preoccupazione è inoltre lo stato degli oceani (SDG 14): inquinamento da plastica, emissioni di CO₂, acidificazione e pesca eccessiva stanno mettendo in ginocchio gli ecosistemi marini e minacciando la biodiversità a livello globale.

Un problema di risorse

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla carenza di finanziamenti nei Paesi a basso e medio reddito. Molti Stati, già gravati da pesanti debiti a seguito della pandemia, faticano a sostenere i costi necessari per politiche di sviluppo e transizione ecologica. Debolezze istituzionali e fenomeni di corruzione aggravano la situazione, impedendo che i flussi di capitali raggiungano in modo efficace i territori e le comunità che ne avrebbero maggiore bisogno. In questo scenario, la cooperazione internazionale e il rafforzamento dei meccanismi di finanziamento risultano cruciali.

Opinione pubblica: realismo e fiducia

Nonostante il quadro complesso e le spinte politiche che in alcuni Paesi negano la crisi climatica, basti pensare alle posizioni assunte dall’amministrazione Trump, l’opinione pubblica europea continua a mostrare un atteggiamento di fiducia verso l’Agenda 2030. Secondo un sondaggio condotto da UN Global Compact Network Italia, l’80% dei cittadini europei ritiene che lo sviluppo sostenibile debba essere una priorità assoluta per governi e istituzioni. Il 73% lo considera inoltre una leva competitiva per le imprese, a dimostrazione di come la sostenibilità sia percepita anche come opportunità economica.

Certo, resta una dose di realismo: solo il 37% degli intervistati crede che gli SDGs possano essere raggiunti integralmente entro il 2030.

Ciononostante a direzione da seguire è inequivocabile: non fermarsi.

kore

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