CSR MAGAZINE
27 Novembre 2025
COP30: cosa ci lascia la Trentesima Conferenza delle Parti sul Clima?
La COP30 è stata definita da molti “la COP della verità”. E una verità, per quanto scomoda, si è imposta: quella di 194 Paesi che, seduti allo stesso tavolo, faticano a trovare un passo comune. Un intreccio di interessi politici, economici e sociali difficilmente compatibili, che raramente converge verso un’unica direzione, nemmeno quando in gioco c’è la tutela del Pianeta e delle generazioni future.
Una seconda settimana intensa: ambizioni, tensioni e un sistema sotto pressione
La seconda settimana entra subito nel vivo: ai ministri vengono affidati i dossier rimasti irrisolti, come carenze nell’azione climatica, finanza, commercio e trasparenza. Le coppie ministeriali create dalla presidenza dovrebbero velocizzare i negoziati, ma le fratture emergono quasi subito.
La bozza del Global Mutirão: unire l’umanità in una mobilitazione globale contro il cambiamento climatico, diffusa nella notte del 19 novembre, prova a ricomporre tutti questi elementi in un unico testo politico, includendo un riferimento centrale alla transizione dai combustibili fossili. È proprio su questo punto che il confronto si blocca definitivamente: l’Unione europea, molti Paesi vulnerabili e una parte significativa dell’Africa chiedono un messaggio chiaro e vincolante, una vera roadmap per l’uscita dalle fonti fossili. Dall’altra parte, il blocco dei produttori di petrolio e gas, dagli Stati arabi ai Paesi Brics, respinge qualunque riferimento diretto, rendendo di fatto impossibile un compromesso.
Le tensioni, però, non si fermano ai confini geopolitici tradizionali. Anche all’interno dell’Unione europea emergono divergenze: Italia e Polonia si mostrano restie a sostenere una roadmap esplicita, complicando la costruzione di una posizione comune. Una contraddizione particolarmente evidente per l’Italia, che deve ancora rispettare l’impegno di uscire dalla produzione di energia elettrica da carbone entro la fine dell’anno.
Parallelamente, l’Ucraina porta a Belém un tema inedito: la richiesta di risarcimento per i danni climatici causati dalla guerra, quantificati in 43 miliardi di dollari.
E a complicare ulteriormente il quadro, il 21 novembre un incendio nel padiglione della Blue Zone interrompe completamente i lavori: evacuazione totale, trattative sospese, 13 persone sottoposte a cure per intossicazione da monossido di carbonio. La zona riapre solo in serata, poche ore prima delle ultime scadenze negoziali.
L’incidente avviene in un momento già delicatissimo: dei 121 punti in agenda, solo 51 risultano chiusi; molti dei più importanti (roadmap fossili, deforestazione, transizione giusta, finanza per i Paesi vulnerabili) sono ancora in stallo.
22 novembre: il compromesso finale e le crepe strutturali
Arrivati al giorno di chiusura, la sensazione è quella di un processo arrivato al limite. Il presidente della COP30, André Corrêa do Lago, porta in plenaria la versione finale del Global Mutirão, il testo politico che dovrebbe sintetizzare due settimane di negoziati e indicare la direzione globale per i prossimi mesi. Ma il documento che i delegati si trovano davanti è molto diverso dalle versioni circolate nei giorni precedenti.
Nelle bozze iniziali, infatti, comparivano due passaggi considerati cruciali da una larga parte dei Paesi:
- una roadmap per fermare la deforestazione, tema centrale per una COP ospitata in Amazzonia;
- un riferimento operativo al “transitioning away from fossil fuels”, concetto approvato politicamente alla COP28 nel 2023 e che qui avrebbe dovuto trasformarsi in un percorso concreto di uscita dai fossili.
Nella versione finale presentata da Corrêa do Lago, entrambi questi elementi scompaiono.
La loro eliminazione è il risultato di lunghe trattative notturne e di un equilibrio estremamente fragile: i Paesi arabi e diversi grandi produttori di petrolio e gas hanno mantenuto una linea rigidissima per tutta la settimana, opponendosi a qualsiasi riferimento esplicito alla necessità di abbandonare i combustibili fossili o di fissare obiettivi stringenti sulla tutela delle foreste. La presidenza, nel tentativo di raggiungere l’unanimità, ha preferito rimuovere proprio quei passaggi che avrebbero rappresentato il cuore dell’ambizione climatica della COP30.
La reazione non si fa attendere. La Colombia prende più volte la parola contestando apertamente la gestione della plenaria e la mancanza di trasparenza nell’iter che ha portato alla rimozione degli elementi più ambiziosi del testo. Panama e Uruguay si uniscono alla protesta, segnalando che il fronte dei Paesi ad alta ambizione non è più disposto ad accettare compromessi al ribasso come inevitabili.
Per questo la Colombia annuncia ufficialmente, insieme ai Paesi Bassi, la creazione della prima conferenza internazionale dedicata all’uscita dai combustibili fossili, prevista per aprile 2026: un messaggio politico forte, che di fatto esprime sfiducia nella capacità del formato COP di affrontare la questione più decisiva della crisi climatica.
Di fronte a un malcontento così evidente, Corrêa do Lago prova una mossa inattesa: annuncia che, nel suo ruolo di presidente per il prossimo anno, avvierà “ex officio” due roadmap: una sulla transizione dai combustibili fossili e una sulla fine della deforestazione, anche se non incluse nel testo negoziato. È un tentativo di rimediare a un compromesso che molti giudicano insoddisfacente e di tenere aperto almeno un varco per il lavoro futuro.
Belém 2025 lascia dietro di sé una domanda inevitabile: le COP funzionano ancora?
In trent’anni, il sistema ONU sul clima ha prodotto risultati storici, come il Protocollo di Kyoto, l’Accordo di Parigi, la diffusione globale delle rinnovabili. Ma oggi questo meccanismo sembra non essere più all’altezza dell’urgenza climatica.
È troppo lento, troppo complesso, troppo vincolato alla regola del consenso.
Un processo pensato negli anni ’90, in un mondo completamente diverso da quello di oggi, che ora fatica a tradurre in azioni concrete ciò che promette ogni anno.
Un processo che deve mettere d’accordo 194 Paesi con priorità divergenti e che rischia di rimanere paralizzato.
Rinnovarlo non è più un’opzione, ma una necessità.
27 Novembre 2025
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